Col cuore a Oualia (Mali)
di Michele Sforza
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Nel gennaio 2005 io e Luigi Cantore, come delegazione di Pompieri Senza Frontiere, prendiamo parte ad una missione promossa dall'Associazione Rete dei Comuni Solidali (RECOSOL), in Mali (Africa) presso la comunità di Oualia, un villaggio che si trova nella regione di Kayes, a nord-ovest del Mali, nel Cercle di Badoumbe.
La missione ci ha permesso di visitare numerosi villaggi e di conoscere moltissimi dei suoi abitanti, nonché le autorità locali. Infatti nella riunione ufficiale del 30 gennaio, abbiamo presentato al Sindaco di Oualia, e al Consiglio Comunale la proposta di due primi progetti di collaborazione tra Pompieri Senza Frontiere e la comunità di Oualia. Il primo consiste nell’impegno per l’ammodernamento dell’attuale sistema di comunicazione radio, che per le sue ridotte capacità tecniche non riesce a raggiungere tutti i 28 villaggi che compongono il Comune di Oualia, il più lontano dei quali dista oltre 100 chilometri dal capoluogo. Non avendo, quindi, altre possibilità, il solo modo di comunicare è l’unico fuoristrada del Comune che può raggiungere i villaggi dopo ore di percorrenza di piste sterrate e sconnesse nella savana. Un moderno sistema consentirebbe loro di ricevere tutte le necessarie comunicazioni, ordinarie e straordinarie. Soprattutto quelle di emergenza. Il secondo progetto consiste nell’organizzare, inizialmente, un piccolo nucleo di operatori per la sicurezza antincendio e il soccorso – è meglio per ora non chiamarli Vigili del Fuoco – che saranno dotati nel tempo di idonee attrezzature, divise, formazione e, nel prossimo futuro, di un mezzo adeguato alla tipologia delle infrastrutture viarie del territorio oualiano, privo di strade asfaltate. Come nell’antichità è la stessa popolazione che concorre alla propria sicurezza, tramite il trasporto a mano con i secchi della pochissima acqua disponibile e non distribuita sul territorio. L’incendio è un fatto del tutto consueto, perché non essendoci elettricità, cucinano, si scaldano e illuminano le loro capanne con fuochi liberi e lampade a petrolio. Le capanne generalmente sono fatte di canne intrecciate e rivestite di fango o, per i più “ricchi”, di mattoni di fango cotti al sole e impastati con paglia per renderli più compatti, elastici e leggeri. Se una capanna va malauguratamente a fuoco, viene immediatamente scoperchiata della sua copertura, fatta di rami e paglia, al fine di sottrarre al fuoco più combustibile possibile. Il danno per loro non è tanto la perdita dell’abitazione, poiché realizzata con materiali reperibili nell’ambiente, ma quanto il rischio dell’incolumità fisica e la perdita dei pochi beni presenti all’interno e all’esterno, come la perdita del poco bestiame in loro possesso, tenuto in piccoli recinti adiacenti alle capanne e di quel po’ di mais e miglio prezioso per l’alimentazione umana. Ma questi sono solo alcuni dei tanti problemi che attanaglia il continente africano, che meriterebbe una maggiore e costante attenzione della pubblica opinione, richiamata sovente solo dall’onda emotiva provocata da calamità o da violenti sconvolgimenti sociali. Sete, scarsità di cibo, malattie, mancanza di occupazione, istruzione, squilibri sociali; sono alcune delle condizioni che flagellano un po’ ovunque il popolo africano, costringendo a molti di loro a cercare altrove, in altri paesi, una condizione di vita più umana. Niente di nuovo rispetto a quanto già si conosce della condizione nella quale si trova l’Africa. Viverle però di persona queste condizioni, senza filtro o interpretazioni, è tutt’altra cosa. Il viaggio in Mali è stato proprio questo per chi come il sottoscritto e gli altri del gruppo che non vi erano ancora stati: drammatico e nello stesso tempo straordinario per la ricchezza e l’appagamento dell’esperienza vissuta. Siamo entrati in Africa “puri”, in altre parole non condizionati da precedenti esperienze turistiche. La prima volta è stata diretta, essendo stati catapultati immediatamente nella difficile realtà di Oualia, ben lontani da qualunque rotta turistica e da ogni agiatezza occidentale. Nei giorni della missione, minuziosamente preparata da Chiara in Italia ed efficientemente gestita da Silvana e Jaques a Oualia, le delegazioni di PSF e di RECOSOL hanno visitato diversi villaggi, trovando una straordinaria accoglienza da parte delle popolazioni locali, che hanno dimostrato un grande senso di amicizia, di affetto e di gratitudine per noi tubabu (uomini bianchi). Abbiamo potuto visitare diversi villaggi del comprensorio di Oualia, tra i quali Tambassoune, Solinta, Nary, Badoumbe. In ogni villaggio siamo stati accolti e festeggiati con bellissime e calorose cerimonie, fatte anche di balli e musica. I balli delle donne erano di grande suggestione, resi ancora più belli dai colori vivacissimi e sgargianti delle loro vesti. Quelli degli uomini erano maestosi o di grande effetto acrobatico. Gli obiettivi delle nostre macchine da presa balzavano con frenetica attività tra queste figure straordinarie, per catturare i particolari più belli. Anche i bambini erano stupendi. Chi di loro si accorgeva di essere fotografato si metteva in posa con non poca vanità. Erano tanti, sorridenti e pieni di vita e sempre pronti a farsi riprendere. Anzi una foto mancata poteva essere motivo di tristezza. Non osavano chiederti nulla ma capivi che erano lì nell’attesa di una fotografia. Quando li inquadravi con l'obiettivo il loro volto si illuminava e ti regalavano un sorriso aperto e straordinario. E poi erano allegri. Non bisogna sempre credere che siano tristi e oppressi da una condizione difficile di vita. Questo luogo comune va certamente sfatato. Loro sanno anche essere allegri e spensierati; e questo ti sorprende piacevolmente. Tutti aspetti che ti segnano. Mi ha anche profondamente colpito la grande dignità di queste persone. Non ti chiedono mai nulla; si aspettano un aiuto perché ne hanno proprio bisogno, ma non te lo strappano, non te lo elemosinano. Lo aspettano e basta. Con dignità. Se arriva te ne sono grati altrimenti ne fanno a meno. Vorrei poter dire ancora delle cose ma non voglio chiedere di più allo spazio concessomi. Mi congedo, quindi, con un’immagine che mi ha accompagnato ancora per giorni dopo essere tornato: i sorrisi dei bambini, sorrisi gioiosi e spensierati, luminosi e aperti come solo i bambini sanno esserlo. Questa è l’immagine più bella, più preziosa che ho portato via dall’Africa e che mi rimarrà, lo sento, per lungo tempo perché l’Africa è anche questo. Sa essere anche questo. |
Reportage fotografico di Michele Sforza